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I freni delle automobili
Sin dai primordi della ruota fermare qualcosa in movimento è stato più difficile che muoverlo. Ci si affidava alla forza di un animale per muoversi e alla sua forza per fermarsi. Poi il solito eroe ignoto ebbe un’intuizione, perché non provare a fermare in qualche modo la ruota con qualcosa? Nacque così il primo freno su una ruota sola , con un ceppo di legno che imperniato sul carro faceva forza sulla ruota e frenava ( si fa per dire ) il carro.
Il primo passo era stato fatto, forse nel tardo medioevo , ma ahimè rimase così per secoli fino all’avvento dell’automobile ed oltre. In effetti non si avevano idee chiare sul come frenare un mezzo in movimento, lo testimoniano i tanti tentativi e i tanti vicoli ciechi percorsi dalla ricerca .
Ancora verso gli inizi della prima guerra mondiale c’erano auto che superavano 70/80 chilometri ora e si affidavano, per fermarsi , ai freni a filo, tanto per intenderci quelli delle biciclette, che per di più agivano solo sui freni posteriori.
Adesso vi spiegate il perché di tanti incidenti all’alba dell’automobilismo.
Eppure nel 1901 la Maybach aveva usato un primordiale freno a tamburo, ma bisogna attendere il 1902 perché Louis Renault presenti il primo freno a tamburo così come noi lo conosciamo , anche se l’azionamento delle ganasce era meccanico.
Ne potete vedere un esemplare nella foto 1 sottostante.
foto 1
Il perno A veniva fatto ruotare da una leva esterna al tamburo, le ganasce B si aprivano e l’auto rallentava, rilasciando il freno la molla C aiutava le ganasce a ritornare al posto, semplice e discretamente efficace, ancora in uso su rimorchi agricoli.
Ai primordi dell’auto i freni erano pressappoco considerati inutili, infatti Ettore Bugatti a coloro che nutrivano legittime riserve sulla capacità di fermarsi delle sue automobili, rispondeva tranquillamente che i suoi “purosangue” erano costruiti per correre, e non certo per fermarsi. Questione di punti di vista !
I freni allora erano due e dietro, ma non sempre , qualcuno aveva un solo freno a nastro, un nastro di materiale adatto che serrava l’albero trasmissione, in pratica con che capacità frenante lo sapeva solo il costruttore.
Curiosamente fu brevettato prima il freno a disco. Infatti intorno al 1890 a Birmingham iniziarono i primi esperimenti e nel 1902 Frederick Lanchester chiese ed ottenne il brevetto del primo impianto di freno a disco della storia. Bisognerà attendere più di mezzo secolo per vederne il trionfo in una gara automobilistica.
Infatti nel 1953 la Jaguar vinse la 24 ore di Le Mans proprio grazie alla superiorità della frenata delle sue auto.
Grazie ai freni senza "fading", alla fine delle tre miglia e mezza del rettilineo Mulsanne, le C-type riuscivano a decelerare in completa sicurezza da velocità di circa 150 mph (240km/h); inoltre, quei freni avevano una maggiore durata rispetto a quelli di tutti gli altri concorrenti e il risultato fu un grande successo: le Jaguar si classificarono al primo, secondo e quarto posto.
Immaginate quali freni occorrevano verso gli anni ’80 quando su quel rettifilo si raggiungevano e superavano i 400 km/h!
Nelle autovetture abbiamo due sistemi di frenatura indipendenti, uno di stazionamento, con comando a mano ( o a piede se Mercedes, decisamente pericoloso perché impossibile da azionare dal passeggero in una situazione di emergenza con il pilota inerme), agente in genere sulle ruote posteriori, e l’altro di esercizio con comando a pedale, idraulico, ed agente sulle quattro ruote. Dei quattro dispositivi di attrito i due delle anteriori hanno il compito più gravoso.
Infatti durante la frenata si ha, per effetto dell’inerzia, un traferimento di parte del carico sulle ruote anteriori; a questo trasferimento corrisponde un aumento dell’aderenza delle ruote anteriori e una diminuizione delle posteriori ( la macchina si “alza” dietro). Poiché la frenata risulta alterata, un impianto razionale deve riservare ai freni anteriori la percentuale maggiore della capacità totale di frenata, non per niente la grande maggioranza delle auto ha freni a disco all’anteriore e tamburo al posteriore.
Freni a tamburo
Da sfatare immediatamente la favola che siano inferiori ai dischi, in realtà un freno a tamburo è più efficace di un freno a disco, per via della maggiore superficie di attrito.
Quello che lo rende inferiore è che non smaltisce altrettanto bene il calore generato dalla frenata.
I freni a tamburo sono di vari tipi, i più importanti sono quelli a ceppi fulcrati e quelli a ceppi flottanti.
Freno a ceppi fulcrati. E’ il tipo più vecchio ed è di costruzione semplice. Ha l’inconveniente di non poter garantire un ampio contatto fra suola ( la superficie che genera attrito, comunemente chiamata Ferodo, dal nome della ditta più conosciuta) e tamburo appunto a causa dell’ancoraggio del ceppo al fulcro. Ciò si traduce in una visibile irregolarità di logoramento delle suole. Eccone un esempio
foto 2
1 Cilindretto freni azionato dall’olio idraulico
2/3 Ganasce
4 Senso di rotazione
5 Pistoncini di azionamento ganasce
L’olio entrando nel cilindretto 1 provoca l’apertura delle ganasce 2 è 3 che però essendo fulcrate sotto toccano parzialmente l’interno del tamburo e consumano irregolarmente la suola.
Freno a ceppi flottanti .
Questo tipo di freno rappresenta un perfezionamento rispetto al ceppo fulcrato in virtù della maggiore libertà consentita alla suola.
Scompaiono i fulcri e tra le due parti inferiori delle ganasce compare un appoggio in lamiera che aumenta il loro grado di libertà. Libertà che permette di aumentare la superficie di contatto e rende il logoramento più regolare.
Altre differenze costruttive riguardano : 1) la posizione della suola rispetto al ceppo (ganascia), suola che non ricopre più tutto il ceppo; 2) Il dispositivo di dispersione del calore, che in genere consiste in una alettatura esterna del tamburo, e foratura del disco ruota, 3) dispositivo per la ripresa del gioco fra suola e tamburo dovuto al progressivo logoramento della suola.
Freni a disco
Come abbiamo visto nacquero prima dei freni a tamburo, però non trovarono applicazioni valide perché all’epoca i freni a tamburo erano sufficientemente evoluti ed in grado di soddisfare le esigenze del tempo. Il vero interesse iniziò a manifestarsi verso il 1935 nel settore carrelli d’aereo, dato che le velocità in gioco cominciavano a mettere fuori causa i tamburi.
Negli anni successivi l’uso di freni a disco in aeronautica si generalizzò, e passata la guerra i tempi e le prestazioni delle auto erano maturi per l’utilizzo automobilistico. Prima nelle competizioni e poi via via nelle auto di tutti i giorni.
Come è fatto un freno a disco:
semplice: un disco metallico a facce piane, solidale alla ruota,gira fra due uno o due pistoncini coassiali portati da una pinza fissata alla sospensione della vettura. I pistoncini recano sul lato affacciato verso la superficie del disco una guarnizione di materiale di attrito, mentre sull’altro lato sono sottoposti alla pressione idraulica generata dal dispositivo di comando (foto 3). La pressione di frenatura giungendo su entrambi i pistoncini genera una forza che serra il disco e la macchina frena. Una versione più economica è quella a pinza flottante, un solo pistoncino che spinge da una parte e per reazione tira a sé l’altra pastiglia dato che la pinza è libera (flottante), ma il risultato non cambia , il disco viene frenato. La superficie della pinza non è mai eccessiva e questo permette un raffreddamento eccellente, migliorato ancora di più nei dischi ventilati, in pratica due dischi uniti da una canalizzazione interna, e aperti sul bordo, che fa da aspiratore e raffredda ulteriormente il complesso disco+pastiglie+pinza.
Attualmente i materiali in uso per i dischi sono: ghisa per i normali usi automobilistici; acciaio per uso motociclistico dato che entra subito in temperatura, carbonio per auto da corsa, carboceramici che sono i migliori in assoluto e praticamente insensibili al fading, ma mostruosamente costosi, montati a richiesta su macchine tipo Porsche e Ferrari.
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